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Il Coaching è una partnership con i clienti, che attraverso un processo creativo stimola la riflessione, ispirandoli a massimizzare il proprio potenziale personale e professionale” (definizione ufficiale tratta dal Codice di Condotta dell’International Coaching Federation).

Dunque, anzitutto è una partnership tra il Coach e il suo Cliente: che vuol dire ? Significa che il Coach si pone in assoluta parità con lui. Il Coach non insegna, non consiglia, non guida, non motiva. Perché sa che nel Cliente stesso c‘è già tutta la saggezza di cui ha bisogno per migliorarsi. Il Cliente deve solo essere aiutato a trovarla, esplorando dentro di sé.

A differenza dello psicologo/psicoterapeuta, il Coach accompagna il cliente a raggiungere i propri obiettivi in assenza, o irrilevanza, di patologie, disturbi o malesseri mentali. Il nostro Codice Etico vieta categoricamente ai Coach di fare qualunque intervento o diagnosi che anche solo si avvicini al concetto di terapia psicologica (il che tra l’altro sarebbe anche un reato).

Di solito si chiama un esperto (“uno che ne sa”) perché siamo davanti a un problema, a un disagio, che non sappiamo risolvere da soli. Qualcun altro si rivolge a noi non per risolvere un problema o uscire da una situazione spinosa, ma per ampliare i propri orizzonti, perseguire traguardi più alti, migliorare una vita che va già abbastanza bene di suo.

Il Coach è anzitutto una persona profondamente interessata agli altri, che vuole porsi al loro servizio sul piano professionale, e che è affascinata dalla complessità e grandiosità dell’esplorazione della vita, delle aspirazioni, dei valori e delle risorse più o meno nascoste del suo cliente.

Per diventare Coach occorre aver conseguito un diploma presso una scuola di coaching (vedi “Come scegliere un corso di coaching?”)

Su questo punto è bene fare chiarezza. Se intendiamo dire che un capo/manager può agire e comportarsi come un “allenatore” dei suoi collaboratori, la risposta è senz’altro sì. Tuttavia, non può applicare completamente il metodo del coaching in senso stretto, perché il rapporto di partnership che esso presuppone è completamente paritario, mentre il capo non può non avere una relazione di tipo gerarchico con i suoi collaboratori: al massimo può attutirne gli effetti, ma non può eliminarli del tutto. Tuttavia, non c’è dubbio che un capo/manager che si sia diplomato coach (soprattutto se lavora in ambito Risorse Umane), potrà utilizzare di volta in volta, secondo necessità, questa o quella tecnica di coaching, spesso con risultati spettacolari e a tutto vantaggio della propria relazione con la sua squadra. Non a caso, parecchi nostri ex allievi sono capi/manager .

Conoscere il coaching, e possederne il metodo, apre una serie di orizzonti prima sconosciuti sulle leve che agiscono tra noi e i nostri comportamenti e prestazioni. Consente di capire meglio le persone, e quindi anche sé stessi.  Si diventa Coach per davvero nel momento e nella misura in cui si consente al metodo del coaching di lavorare su noi stessi, all’interno di quel dialogo interiore che ci accompagna in ogni giorno della nostra vita . In questo senso, e chi è Coach lo sa bene, aver compreso il coaching profondamente cambia la nostra esistenza, e la cambia in meglio, dandoci nuovi efficaci strumenti per gestire le nostre emozioni, consolidare il nostro benessere, facilitarci il raggiungimento dei nostri obiettivi.

Non vogliamo cavarcela con banalità del tipo “il prezzo lo definisce il mercato”, o peggio “dipende da quanto è bravo e riesce a farsi pagare”, perché sono asserzioni che, per quanto vere, eludono la domanda. In generale si può dire che il prezzo di un’ora di sessione cambia molto, a seconda del cliente che si rivolge al Coach. Nel caso del “Life Coaching”, cioè con i privati, l’ora di coaching varia dai 50 euro in su, tenendo conto ovviamente del fatto che si può lavorare in una zona ad alto reddito pro capite o in una zona meno ricca. Se si fa coaching con professionisti o imprenditori (per esempio nel Business Coaching), il prezzo sale parecchio, superando abbondantemente, spesso, i 100 euro l’ora.  In azienda (”Corporate” o “Executive Coaching”) il coaching è pagato dal datore di lavoro del cliente, e si va dai 100 ai 300 euro, a seconda del livello professionale del cliente e dell’esperienza maturata sul campo dal coach stesso . Per poter fare due conti, si consideri che un percorso di coaching completo, di norma, può variare da 10 a 30 ore complessive.

Per tutte le ragioni che abbiamo già detto, ma una su tutte: è una professione affascinante, che costringe a un continuo lavoro su sé stessi anche in termini di aggiornamento professionale e culturale, che ripaga il nostro impegno con continue, e spesso grandi, soddisfazioni.  E con una ricca rete di relazioni improntate alla fiducia, che non di rado ci restituiscono la sincera gratitudine dei nostri clienti.

Nel tempo si sono affermati, e vengono comunemente riconosciuti, diversi tipi di Coaching a seconda del tipo di Cliente e degli obiettivi che si pone. La tecnica però rimane la stessa. Quello che cambia è l’esperienza, la conoscenza specifica che il Coach ha maturato nel seguire clienti in quell’ambito specifico. Ecco un breve elenco dei tipi più diffusi di coaching.

LIFE COACHING: è il caso in cui il cliente si rivolge al Coach per migliorare qualche aspetto della sua vita privata (ad esempio, vuole smettere di fumare, o diventare più ordinato nel gestire la casa, laurearsi, trasferirsi in un’altra città, o migliorare le proprie relazioni con la famiglia (cfr. il Family Coaching, più sotto).

COACHING SPORTIVO: qui siamo davanti a clienti che di solito sono atleti professionisti, o addirittura squadre (e allora si parlerà di Team Coaching Sportivo). La loro più tipica motivazione è costituita dal migliorare le proprie prestazioni in gara o in allenamento, o di apprendere efficacemente una nuova tecnica, un diverso gesto atletico. Oppure, di essere accompagnati nel recupero fisico-tecnico-motivazionale dopo una assenza importante dalle competizioni (di solito per infortunio).

CORPORATE ED EXECUTIVE COACHING. il Cliente è un dipendente o collaboratore di un’Impresa. S’intende che l’azienda ha deciso (e paga) il Coaching a un suo dipendente, per obiettivi specifici, mentre nell’Executive Coaching siamo davanti a un cliente che ha deciso in autonomia di rivolgersi a un Coach e – benché sia l’azienda a pagare – la decisione è sua e solo sua (in questi casi per ovvie ragioni il Cliente è un dirigente, o comunque una persona di responsabilità assimilabili a quelle di un dirigente – “Executive” in inglese).

BUSINESS COACHING. Il Cliente è un imprenditore o professionista, che desidera iniziare un nuovo business, o riorientare il business esistente in senso strategico od organizzativo . E’ assai probabile che il Cliente stesso, come imprenditore, si trovi davanti a una sfida per lui nuova, e che come tale egli si trovi a dover adeguare il proprio approccio manageriale. E non di rado, di correggere taluni tratti del proprio carattere.

CAREER COACHING. Certo, nel termine Career (carriera) c’è forte il senso dell’ambizione: e spesso è così, il Cliente vuole trovare il modo per scalare la catena gerarchica, aumentare le proprie responsabilità e il proprio prestigio oltre ovviamente al proprio reddito. Però è frequente anche il caso di chi vuole proprio riorientare la propria esistenza professionale, cercando nuovi stimoli e costruendosi una differente identità di mestiere. Alla ricerca di maggior gratificazione, o magari (non è raro) di una miglior compatibilità tra impegno lavorativo e benessere privato.

TEAM COACHING (e Coaching di Gruppo). È un caso particolare, che capita di affrontare soprattutto ai Coach che lavorano con le aziende. Qui il Cliente non è una persona, ma un piccolo gruppo di persone: normalmente, da tre a sei-sette.

FAMILY COACHING. Ovvero, la famiglia come sistema umano, microcosmo di relazioni, intreccio di affetti ed interessi, di attrazioni e conflitti. Di solito, va approcciato come nel caso del team Coaching. Ma è tutt’altro che infrequente il caso dei genitori che “prescrivono” il Coaching al figlio/figlia adolescente, che è “difficile”, “ribelle”, o che presenta carenze scolastiche o comportamenti che i genitori giudicano allarmanti. Anche in questa eventualità, come nel Corporate Coaching, il Coach si trova davanti a una situazione nella quale il committente (chi paga) e l’utente (il Cliente) non sono la stessa persona. Con una difficoltà in più: il Cliente spesso è un adolescente, o comunque un giovanissimo, che non si fida degli adulti, Coach compreso … Simile è la situazione del marito o moglie che ha “trascinato” il coniuge davanti al Coach nella speranza di risolvere una spinosa situazione di coppia, con l’obiettivo dichiarato di “salvare il matrimonio”, ma con quello inconfessato di far cambiare comportamento o atteggiamento al partner (che in realtà vorrebbe veder “colpevolizzato”).

Senza dubbio sì. Molti nostri allievi sono professionisti, e provengono dai campi più disparati: avvocati e medici, insegnanti e assistenti sociali, mediatori e allenatori sportivi, consulenti, architetti, fisioterapisti, e chi più ne ha più ne metta …  In realtà applicare il coaching come metodo, o anche solo di volta in volta talune sue tecniche, a tutte le professioni che implichino una stretta collaborazione con la clientela, offre almeno due tipi di vantaggio: poter capire meglio le reali motivazioni del cliente, e farne emergere un orientamento più funzionale alla fruizione del servizio stesso.

L’offerta di corsi di formazione per aspiranti Coach è ormai vasta, anche in Italia. Tanto vasta che può essere difficile orientarsi . Basta guardare i prezzi, che vanno da poche centinaia di euro a parecchie migliaia … A parte le considerazioni di tipo economico, gli indizi che caratterizzano un corso veramente serio sono:

  • La durata: per imparare il coaching davvero, non può essere inferiore alle sessanta ore di formazione, come raccomanda la stessa International Coaching Federation.
  • Il programma: deve prevedere un tempo adeguato per la sperimentazione pratica e non soltanto la parte teorica.
  • Deve prevedere un esame finale (altrimenti non può essere definito un corso davvero abilitante/professionalizzante).
  • Deve permettere il conseguimento di un diploma, che sia accreditato o almeno compatibile con i requisiti di accesso alla professione stabiliti dalla International Coaching Federation o altra associazione di Coach.

Quasi da subito il mondo dei Coach ha iniziato ad associarsi e a federarsi in organismi professionali su base volontaria, sia a livello dei singoli Paesi, sia a livello internazionale. In Italia per esempio, abbiamo l’AICP (Associazione Italiana Coach Professionisti), l’AICO (Associazione Italiana Coach), l’ACOI (Associazione Coaching Italia), e altre minori, oltre ovviamente al Chapter Italiano dell’International Coaching Federation: l’organismo più prestigioso ed autorevole a livello mondiale . Nata nel 1995, è oggi presente in circa 120 Paesi, con 25.000 Coach Accreditati su circa 40.000 membri-Coach. Il suo successo è nel rigore, che l’ha portata a identificare degli standard, sia etici sia di metodo, che sono ormai “il” punto di riferimento a livello mondiale.